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Quaderni di Formazione online

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Come l'acqua sul dorso di un'anatra

 

Le caratteristiche generali del sistema Keynesiano e le conclusioni che da esso scaturiscono (Conclusioni)

GIOVANNI MAZZETTI

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“Prevedo che buona parte di quello che scrivo scorrerà come l’acqua sul dorso delle anatre se non sarò sufficientemente duro da costringere i classici a replicare.

Voglio per così dire sollevare un polverone; perché solo dalla controversia che nascerà riuscirò a far comprendere quello che dico.”

Presentazione

 

Collocare il pensiero di John M. Keynes in modo univoco è praticamente impossibile. Egli è infatti vissuto in un’epoca di enormi trasformazioni sociali, che hanno profondamente influenzato lo svolgimento della sua analisi dei rapporti economici. È nato nel corso della prima lunga crisi strutturale del capitalismo, conclusasi solo quando aveva dieci anni. È stato figlio della prima donna ammessa alle università inglesi. Raggiunti i vent’anni, esplode la Prima guerra mondiale nel corso della quale lavora presso il Ministero del Tesoro per l’organizzazione economica del sistema. Finita la guerra fa parte della delegazione che deve stilare il Trattato di Pace a Versailles. Lì comincia a prender corpo la sua eterodossia, che sfocia in un libro destinato ad un’ampia circolazione, Le conseguenze economiche della pace, in tutto il mondo.

In questa fase si rende conto che i rapporti sociali sui quali è stata costruita la società borghese cominciano a disgregarsi in modo radicale.  Il decennio successivo è quello della presa d’atto di questa evoluzione, alla quale spera di porre rimedio con riforme monetarie.  Quando finalmente giunge a dare coerenza generale a questa prospettiva, si rende conto che la via non è quella e inizia una feconda fase di ricerca che lo condurrà nel 1936 alla pubblicazione della Teoria generale dell’occupazione, della moneta e dell’interesse.

In questo lungo percorso si può del tutto coerentemente sostenere che se da un lato il pensiero keynesiano è, per sua stessa ammissione moderatamente conservatore, dall’altro è però allo stesso tempo rivoluzionario.  Conservatore perché Keynes riteneva che i cambiamenti potessero essere attuati senza un vero e proprio rivoluzionamento dei rapporti sociali, ma solo con un mutato atteggiamento del modo di operare dello stato. Rivoluzionario perché quel modo di operare rompeva con l’orientamento prevalente in tutta la fase storica dei duecento anni precedenti.

Ciò che è poi stato confutato dall’evoluzione storica successiva è la convinzione keynesiana che gli esseri umani, godendo del passaggio evolutivo per il quale si batteva, avrebbero imparato a rapportarsi al loro stesso modo di produrre in modo tale da riconoscerne la problematicità.  Ciò che non è accaduto è che ci ha fatto precipitare nella crisi di cui soffriamo.    Non è quindi al pensiero di Keynes che si debbono avanzare critiche, bensì ai limiti della cultura condivisa, che ha impedito di sperimentare la situazione che lui aveva anticipato, anche quando la classe lavoratrice non era più travolta dalla miseria.

D’altra parte, se Keynes ha dovuto battersi con le stesse convinzioni del governo laburista, succube nei confronti delle politiche dell’austerità, noi non possiamo pretendere che il nostro compito sia oggi meno complesso del suo.  Per questo, sul prossimo numero dei quaderni, offriremo un dialogo di Keynes all’epoca particolarmente illuminante sulla coerenza tra l’atteggiamento rivoluzionario e quello conservatore come imprescindibili momenti del cambiamento che è a suo tempo sfociato nel Welfare. Un cambiamento che ci permetterebbe oggi di confrontarci con la crisi in modi meno estremi di quelli che hanno caratterizzato la sua epoca.

 

 

Ultima modifica: 20 Settembre 2023